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Quando il corpo si chiude al sesso

Storie di donne

annalisa

Metamorfosi di una donna.

Spesso le situazioni difficili sono rese ancora più complesse dai contesti socio – culturali in cui si verificano.

E’ quello che è successo a me.

Puglia provincia di Bari. La mia famiglia di umili origini e di educazione cattolica ha sempre considerato il sesso un tabù. Il disonore più grande sarebbe stato quello di ritrovarsi una figlia gravida al di fuori di un regolare matrimonio. Quando, superati i venti anni, manifestai a mia madre la volontà di sottopormi ad una visita ginecologica fui subito guardata con sospetto e disapprovazione: solo le ragazze di facili costumi si rivolgevano a tali specialisti.

A causa della rigida educazione, in cui le uscite serali si centellinavano, e della mia passione per lo studio mi fidanzai per la prima volta a diciannove anni. Prima di allora solo qualche adolescenziale bacio appassionato.

Il mio compagno di qualche anno più grande di me fin dai primi incontri intimi cercò di penetrarmi con un dito, ma la cosa risultò molto dolorosa. Il tempo passava e i nostri incontri amorosi si limitavano al petting.

Parlai di questo problema con il mio medico di base, una ginecologa. Mi ascoltò con aria di sufficienza e mi consigliò l’uso di lubrificanti. Mi effettuò un tampone vaginale molto doloroso e niente più.

Decisi allora di farmi visitare da un altro medico, ma non avendo mai avuto rapporti sessuali completi anche lui si limitò ad un tampone vaginale. Provai ancora dolore.

Questo dolore, che io comincia a considerare normale, non veniva mai preso in considerazione.

La mia storia cominciava a sfilacciarsi e gli incontri intimi divennero sempre più rari fino ad azzerarsi del tutto.

Prima di ammettere a me stessa che i miei sentimenti si erano affievoliti  persi parecchio peso e finì nel girone degli ortoressici: i maniaci del controllo alimentare. L’ago della bilancia non doveva oltrepassare i quarantotto chilogrammi. Poteva invece tranquillamente scendere. Il controllo dei cibi che ingerivo era meticoloso e gli orari dei pasti rigorosi.

Finalmente dopo numerosi tentativi falliti riuscì a porre fine a questo fidanzamento agonizzante.

Di lì a poco comincia a frequentare un ragazzo molto allegro e simpatico conosciuto all’università. Mi piaceva stare con lui ma non avevo voglia di impegnarmi in un nuovo fidanzamento. Lui invece era molto innamorato e mi pose di fronte ad un aut – aut. Il timore di perderlo per sempre mi fece cedere e nel giro di pochi mesi ero di nuovo sentimentalmente impegnata.

A mia madre il mio nuovo compagno non piaceva affatto e faceva di tutto per rendermi la vita impossibile.

L’innamoramento fece sbocciare in me una grande passione, ma oltre l’unione delle anime non riuscimmo a realizzare l’unione dei corpi. Entrare nella mia vagina risultò da subito impossibile.

Ormai avevo rinunciato a parlare di questo problema al personale medico rivelatosi impreparato.

Intanto i miei problemi alimentari scomparvero e divorziai dalla mia bilancia che da allora non ho più voluto in casa.

Ora cominciava ad aggiungersi un senso di vergogna legato all’età che avanzava e che mi vedeva ancora vergine. Confrontarmi con qualche amica era per me impossibile.

II tempo passava. Io e il mio compagno, sperando in un miracolo, andammo a convivere e poi ci sposammo.

Poco dopo il matrimonio mi trasferii a Milano. Speravo che condizione di donna coniugata facesse scattare dei meccanismi in grado di sbloccare la situazione ma nulla accadeva.

Comincia a maturare la consapevolezza che il problema fosse tutto nella mia testa e, rivolgendomi al dottor Google mi autodiagnosticai un vaginismo.

Al terzo anno di matrimonio finì due volte al pronto soccorso per forti algie pelviche. In quelle circostanze, tra le lacrime e la vergogna, parlai ai medici ginecologi della mia impossibilità ad avere rapporti sessuali completi. Fui guardata con compassione ed occhi smarriti. Una volta rimediai il numero di uno psicologo e l’altra volta quello di una ginecologa che lavorava in un consultorio.

L’idea di rivolgersi ad un medico mi paralizzava. Ero convinta di essere un caso clinico poco noto se non sconosciuto. Intanto la vita di coppia si faceva sempre più difficile a causa della mia frustrazione: non ero mai riuscita ad esprimere pienamente la mia femminilità.

Prenotai una visita presso un centro medico. Fui visitata da una sessuologa che ammise i propri limiti e mi diede il numero di telefono del dott. Bernorio: misi questo numero insieme agli altri, l’idea di interloquire con un uomo mi fermò.

Fu questo il momento in cui toccai il fondo.

Decisi allora di andare in una famosa clinica milanese. Qui incontrai una nota dottoressa cui esposi il mio problema di presunto vaginismo. Mi suggerì di contattare una sua collega ginecologa e psicoterapeuta.

Con l’aiuto di mio marito fissai un appuntamento e cominciai una serie di sedute senza mai essere visitata (la diagnosi del dott. Google era stata presa per buona..).

Mi fu detto che il mio vaginismo era la punta dell’iceberg di un grande problema psicologico dovuto ad un’educazione troppo repressiva. Dopo due mesi di psicoterapia la dottoressa mi mise in contatto con un’ostetrica specializzata in ginnastica pelvica.

Fu questa donna a capire, finalmente, che l’ingresso nella vagina presentava un impedimento.

Per la prima volta avevo sentito parlare di un ostacolo fisico.

La dottoressa che mi seguiva si decise a visitarmi ma non ci capì molto. Mi fece vedere allora da una sua collega: diagnosi vulvodinia. Mi si prospettò l’uso di psicofarmaci e creme al cortisone.

Dopo tre mesi di terapia ero al punto di partenza.

Presa dalla rabbia decisi di telefonare al dott. Bernorio.

Fui visitata dopo due giorni e il mio problema ebbe un nome: imene ipertrofico con reazione vaginismica reattiva. Un imene molto spesso e difficile da deflorare durante un normale rapporto sessuale.

Stabilimmo la data della imenotomia: avrei perso la mia verginità chirurgicamente.

Dopo un mese dall’intervento cominciai un ciclo di sette sedute durante le quali conobbi e accettai tutto il mio corpo. Da subito il dottore mi ispirò fiducia e stima ed io mi lasciai guidare in questo bellissimo percorso alla scoperta di me stessa. Nelle ultime due sedute partecipò anche mio marito: un breve percorso di coppia che è servito ad acquistare fiducia reciproca.

A sette settimane dall’intervento, arrivò finalmente il primo rapporto sessuale completo.

La crisalide divenne farfalla.